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Un progetto nato da una constatazione semplice ma impietosa: moltissimi corsi d'acqua a livello globale sono sempre più invasi da materiale plastico che vi arriva per mano dell'uomo sia in modo non intenzionale (a causa dei fenomeni meteorologici ) sia con l'esplicito (e deprecabile) intento di smaltire scarti, rifiuti ed imballaggi in modo sbrigativo, illegale ed economico...

Ma siamo davvero sicuri che tutto ciò sia economico? Forse è utile qualche approfondimento. Sappiamo che imballi e materie plastiche hanno un costo ancorché piuttosto basso. Il basso costo di questi materiali ha causato fin dal 1930 circa una graduale ma inarrestabile sostituzione di altri materiali più costosi come metalli, vetro, legno e la stessa carta con materie plastiche che mostravano caratteristiche fisiche (come resistenza al calore, impermeabilità, non fragilità, ecc) e di utilizzo simili a quelle precedenti, ma ad un costo decisamente inferiore.

Anche le materie plastiche non sfuggono però ad una logica che le vede derivate da uno o più cicli produttivi ed economici che assommano nel valore fattori come materie prime, lavoro, energia, macchinari e relativi investimenti finanziari. Questi cicli produttivi ed economici nel caso dei beni di consumo, sono messi al servizio di un ciclo di consumo breve (da qualche giorno a pochi anni) fino ad alcuni che possiamo definire tranquillamente come istantanei, dato che sono basati sul paradigma di consumo del "usa e getta": la merendina contenuta nel polipropilene o polietilene che lo avvolge, esaurisce la sua utilità pochi secondi dopo il momento in cui la merendina viene addentata... dopodiché diventa subito uno scarto, un rifiuto da allontanare e smaltire. 

      

Un tale esaurimento di utilità è oggi in qualche modo programmato ed incorporato nel modello di consumo; è accompagnato nel migliore dei casi da vari tipi di raccolta differenziata della frazione plastica che avvengono a valle della vendita e del consumo che è orientata al riciclaggio del materiale plastico e essere aggregato ai cicli produttivi dove sono considerate materie prima seconde che contribuiscono all'abbattimento dei costi delle materia prime di produzione e soprattutto del consumo energetico per ottenerle, nella prospettiva della creazione di economie di scala visti gli enormi volumi di rifiuti plastici oggi prodotti in un paese economicamente sviluppato come l'Italia. 

          

Molti autorevoli studi da anni hanno evidenziato però che il riciclaggio delle plastiche non è sempre utile in funzione del risparmio energetico, e diviene quanto meno problematico a livello tecnico a causa della molteplicità (spesso nello stesso imballo) di tipi di plastica che oggi sono utilizzati nel comparto B2C che si ripercuote poi sulla qualità delle materie prime seconde ottenute.

Esempi di tali limiti sono i forti costi economici ed energetici di trasporto (dovuti in buona parte al carburante per autotrazione) per convogliare i materiali plastici urbani da riciclo ai centri di smistamento materiale collocati in zone lontane dal luogo di produzione e raccolta. Mentre esempi di pressoché impossibile riciclabilità sono gli imballi composti di tipo Tetrapack, oppure il sistema di packaging utilizzato per il 99% delle acque minerali in commercio con 2 o 3 tipi di materiali plastici diversi saldamente assemblati tra di loro. Per un'idea ancorché schematica della complessità delle operazioni logistiche e produttive coinvolte si veda lo schema sotto:

         

Appurati i limiti del riciclo delle materie plastiche nei processi produttivi  (a livello europeo siamo al 12%, a livello globale al 9%) e di altri materiali se non esistono le ottimali condizioni logistiche, tecnologiche, organizzative e normative per rendere l'operazione positiva nella prospettiva di un qualsiasi bilancio di tipo ecologico, idrico, energetico ed economico, rimane l'imperativo di ridurre presto e subito l'impronta ecologica delle nostre comunità affinché si scongiuri il rischio imminente e reale di una involuzione delle condizioni di vita della nostra specie sulla Terra.

Forse per questo motivo sarebbe necessario integrare nei cicli di produzione, consumo e riciclo anche cicli di riutilizzo locale delle materiale differenziato che siano realmente orientati a ridurne i volumi destinati a trasporto e processamento, producendo anche valori diretti ed indiretti per le comunità che le hanno prodotte e contribuito a renderle possibili. Per loro natura questi cicli sono più vicini al lato Consumer, piuttosto che a quelli Business, con un tendenziale conflitto di interessi in termini di prezzo ricavabile dal materiale recuperato dal consumatore e risparmio industriale con immissione di materie prime seconde a basso costo provenienti da cicli di consumo che producono rifiuti solidi urbani e quindi attualmente anche volumi ragguardevoli di materie plastiche. Per superare queste impasse sarebbe necessario rimodulare la normativa attuale che è incardinata sul divieto di trasporto e processamento dei rifiuti e certamente sulla prossima Direttiva Europea Plastiche che intende raggiungere gli obiettivi del piano d’azione (55% delle plastiche riciclate nei cicli produttivi entro il 2030) per l’economia circolare adottato del dicembre 2015 ponendosi fondamentalmente come pure misure volontarie di tipo industriale. 

       

Le plastiche nei corsi d'acqua oggi non sono certo solo un mero problema estetico, ma localmente possono influire in modo negativo sulla defluizione delle acque di scorrimento superficile a pelo libero ed intombate creando talvolta i presupposti per allagamenti locali anche gravi. Il trasporto della plastica lungo i fiumi (inevitabile durante i fenomeni periodici di piena) è a sua volta uno dei fattori (assieme alla dispersione delle attrezzature e reti della pesca marittima) che determinano la presenza di plastica in mari ed oceani.

Plasticopoli è un progetto nato dalla collaborazione di Eta Beta Onlus e Consorzio Bonifica 2 Alto Valdarno, grazie anche alla progettualità ed esperienza dei Lab ArteinGioco.

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